ANDREA B. DEL GUERCIO
Mi sono occupato dello scultore Amilcare Rambelli in occasione
dell’organizzazione di un’esposizione e della redazione di un saggio
dedicato agli sviluppi della scultura a Milano nel quinquennio
1960/1965 ed in particolar modo nel tentativo storico critico
di riscrivere e rivisitare il passaggio avvenuto tra il clima
espressivo informale ed una nuova stagione determinata dalla
volontà di alcuni di giungere ad una compiuta cultura astratta.
Il mio tentativo critico, che ho potuto verificare sul diretto rapporto con il patrimonio
espressivo e confermare attraverso il riesame di una rigorosa antologia critica, tendeva
a riportare alcune personalità della scultura milanese al centro costitutivo di una storia
costruita attraverso la responsabile originalità dell’innovazione analitica della forma,
sia attraverso specifiche indagini sulla “superficie” che sul “volume”.
L’indagine prendeva in esame quegli autori che sul finire degli anni ’50 affrontavano,
rispetto ad un panorama teso al superamento della cultura figurativa, ma caratterizzato
dalle ambiguità connaturate ai valori aformali astratti della scultura, soluzioni diverse e
innovative che potevano configurarsi attraverso uno stretto piano problematico formale,
Giacomo Benevelli, attento al lento movimento della massa materica, Giancarlo Marchese,
postosi di fronte alla natura divaricata della superficie e Iginio Balderi, osservatore
dell’architettura plastica della colonna ed attraverso l’introduzione significativa di
processi espressivi determinati da procedure di redazione Amilcare Rambelli,
Kengiro Azuma, per anni allievo di Marino Marini e giunto ad uno strappo
linguistico in cui affermava la volontà comunicativa della parete, Giò Pomodoro,
per il quale la scultura era il risultato di un processo di definizione del vuoto
mentre generale appariva l’affermazione dei valori di progettazione intellettuale
del manufatto plastico.
All’interno di quest’area espressiva, milanese ma collegata strettamente con le linee
problematiche della nuova scultura italiana, articolata tra espressioni e metodologie
diversificate, significativa era quindi la presenza di Amilcare Rambelli.
Alla luce di questa prima indagine, finalizzata ad una condizione espressiva significativa,
posso ritenere in questa nuova sede di studio che la personalità di Rambelli spiccava,
sin dalla fase di prima maturità, attraverso l’impegno in un processo artistico in cui
agivano l’energia come emblema della vita della materia e la conoscenza della scultura
come realtà che si elabora e si costruisce, che necessita cioè del desiderio di
edificazione.
Rambelli è di quel gruppo lo scultore che si distingue dall’informale, dal gesto
partecipato e dal piacere dell’espressione diretta sulla materia informe, attraverso
l’elaborazione sempre più attenta ed organizzata del tessuto connettivo, di un sistema,
a tratti riconoscibile, in grado di denotare l’incidenza espressiva della scultura.
“La `testimonianza’ di Emilio Tadini, rigorosa e cronologicamente riferita al 1963,
conferma sul piano operativo la volontà sperimentale di Rambelli fondata sulla
progettazione e sul controllo del fare scultura: Rambelli inizia ogni pezzo con
una struttura di elementi in creta che in certi casi resta, in parte, visibile.
È, prima di tutto, una specie di armatura, uno scheletro di sostegno, un vero organismo
di tipo architettonico entro il quale un nodo di articolazioni risolve spinte
e controspinte nell’equilibrio finale… Da questa strutturazione complessa e rigorosa,
che esclude a forza ogni possibilità di artificio gratuito, nascono le sculture
di Rambelli”; indicazioni quanto mai chiare confermate da chi ne seguiva direttamente
le fasi di redazione e ne acquisiva il progetto espressivo che sottolineano la storia
di una scultura mai dettata dall’azione liberatoria e trasgressiva del gesto sulla materia.
L’osservazione delle grandi terracotte del ’63 di Rambelli e particolarmente
`Mimesi’ e `Ascolto del poeta’ ribadiscono scelte espressive forti, tese a
disvelare nella materia organica la presenza, attiva e strutturale, di un
sistema organizzato; il volume non disvela infatti il caos ma espone di sé
l’azione stabile di un’architettura forte e quindi di un complesso di dati
in grado di agire costruttivamente per l’affermazione della materia stessa”.
(L’organizzazione della materia nella scultura di Amilcare Rambelli in Scultura
Astratta a Milano 1960/65 Ediz. Postumia Mantova 1997).