ENRICO CRISPOLTI
Ricordo di aver notato le sculture (erano
terracotte) di Rambelli in occasione della sua prima
personale, a Milano, alla Pater, nel ‘62: ammassi di
materia, schiacciata, e disposta secondo
configurazioni elementari e primarie, percorse
tuttavia in superficie da tutta una vita, diciamo
tissulare, di segni, incisioni, escrescenze,
scabrosità, orientate anch’esse secondo andamenti
elementari e primari. Quelle terracotte mi
attrassero per una loro indubbia consistenza
plastica, e tuttavia non arrivavano a convincermi
interamente per una ancor troppo embrionale (o tale
comunque risultava alla mia lettura) definizione
delle loro intenzioni figurali. Nel presentarle in
quella prima "uscita", Kaisserlian annotava del
resto delle sculture di Rambelli: "attirano come se
fossero degli organismi naturali sia pure cifrati ed
irriconoscibili.
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Appena poco meno d’un anno più tardi,
ripresentandosi in una nuova personale alla Pater,
Rambelli dimostrava che quelle ispezioni avevano già
dato esiti ulteriori, nuovi: oltre la rugosità e
l’intrico segnico arcanamenter indefinito della
superficie, urgevano fasci organici, bulbi,
embrioni: la terra prendeva corpo, accettava il
veicolo della metamorfosi organica, accresceva la
propria dimensione, non solo terra, ma vitalità
generante, organismo respirante e vivo, pur se
ctonio, d’una tellurica visceralità. Questa matrice
di organicità terrena - che al livello del proprio
lavoro a cavallo fra il ‘62 e il ‘63 Rambelli ha
messo bene a fuoco - resterà tipica alla dimensione
immaginativa del nostro scultore: quasi una polarità
alla quale riportare, come un continuo rassicurante
riferimento, ogni ulteriore apertura immaginativa;
lo vedremo più oltre.
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C’è come appunto una forza
incoercibile che dall’interno si espande, che
corrode e spezza il dato inerte della materia, lo
coinvolge nella traettoria della propria crescita,
del proprio ritmo. Diceva di queste nuove sculture
Tadini in una breve nota per una mostra del gruppo
nel ‘64 stesso: "A volte sono simili a rettili
ostinati, ambiguamente collocati a metà tra
oggettività minerale e organicità animale: come se
lo scultore si sforzasse di fondere in una sola
forma dure allusioni all’arcaico e fragili emozioni
immediate. Altre volte queste sculture ostentano la
fatica e l’imprevedibile aggrovigliarsi di una
metamorfosi bloccata nel suo nascere. Altre volte
ancora la materia sembra far scaturitre da sè
stessa, naturalmente, un tessuto sensibile. Ma,
sempre, il puro valore plastico in cui chi guarda
crede per un attimo di poter risolvere il senso di
queste sculture, finisce per lasciare il posto ad un
altro valore: alla complessa unità di accadimento
concreto, che vive nel racconto".
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