PAOLO FOSSATI
La scultura di Amilcare Rambelli è un esempio lucido e
notevole di quelle ricerche cariche di problemi e di
impegno con cui l’arte delle generazioni più recenti
ha tentato una sua via autonoma da precedenti
sistemazioni, sino a trovare un proprio ritmo e una
propria esperienza poetica. Paradigmatica, e per varie
ragioni esemplare, la ricerca di Rambelli segue da
vicino ansieed attese, prefigura soluzioni, con la
rara caparbietà di chi non abbandona il proprio
oggetto sino a che tutte le conclusioni siano
maturate, le ipotesi vagliate e i risultati acquisiti
prima sul piano delle esperienze empiriche che delle
intuizioni.
Superata la tentazione monumentale da un lato, e la
disgregazione informale da un altro, i due aspetti che
si sono postulati di continuo sono la chiarificazione
dei rapporti con la natura e la ricerca oggettuale. In
ambedue i casi il problema non era di isolare in sè
l’oggetto scolpito, ma di inserirlo in un suo
ambiente: una situazione che colloca nei due casi in
posizione tra loro eccentriche le risposte sia per la
definizione di natura che di costruzione oggettiva, ma
che le complica ponendole in stretta relazione tra
loro.
Posizioni dunque antitetiche: perchè natura va intesa
come storia umana che si sviluppa e consuma nel
prolungamento di un ritmo organico, senza soluzione di
continuità, rispetto al tessuto fisiologico dello
sviluppo naturale che ne è come il simbolo e la
dimostrazione; mentre l’oggettualità indica una
valutazione di ritmi costruttivi che sono specifici
della sola scultura, che proprio da questa condizione
di separazione trae significato ed esemplarità, in
vista di un progetto, conscio o inconscio, di realtà o
di conoscenza della realtà, che sconfigge la passività
del destino insito in ogni storia, per svilupparsi in
termini di volontà e non di patimento, di
organizzazione anzichè di organicità.
Ma posizioni per la loro stessa antipodia coincidenti:
perchè in ambedue i casi esiste un problema di
progettazione, del destino in evidenza di espressività
figurale e dell’oggetto in pregnanza plastica, che
finisce con l’essere in sede scultorea più complicata
e complessa che non nella schematizzazione culturale,
specie se si osserva che gli inizi degli anni sessanta
sono caratterizzati da una sfiducia nell’integrazione
dei due portati ( e ci vorrà un lungo lavoro per
arrivarvi), l’uno derivato da una crisi di
romanticismo soggettivista derivato dall’informale,
l’altro da una radicalizzazione della sintassi
costruttivista.
Il risultato di un simile travaglio, come in talune
simbologie di film di Antonioni, fu curiosamente
alienante: non si giunse ad un volgersi di spalle tra
organico e costruttivo, ma il discorso si trasferì sul
piano della meditazione teorica senza rinunciare
affatto alla radicalizzazione dei dati. Questo
ragionamento, lungo ma schermatico, qui esposto di
taglio, non si è, in realtà, mai spostato dal lavoro
di Amilcare Rambelli, perchè è in questo coacervo di
problemi che lo scutore frequenta la sua idea di
scultura, ed è su questo sfondo che propone le sue
soluzioni.
Le cui prime risultanze risalgono alla personale
del’62 alla milanese galleria Pater. E subito dopo, in
un panorama della giovane scultura, sulla rivista
"Aujourdhui", Crispolti annota: "Rambelli è molto
legato a temi di materismo informale, nelle sue
terracotte, che propongono, in una densità plastica
abbastanza notevole, immagini del tutto embrionali".
C’era, in realtà da aggiungere altro, almeno due
situazioni già chiare ed evidenti sin dal ‘62: il tipo
di partecipazione figurativa a quella embrionalità, di
stretta adesione al fatto rappresentato, con una
identificazione oggettiva priva di drammaticità o di
elegia, indice di rilevamento, di constatazione; e il
tempo del racconto, perchè racconti erano e restano i
suoi lavori, per cui la crescita del processo organico
è il tempo della osservazione ed esplorazione di
Rambelli, il tempo del suo racconto, ancora. Il quale
ultimo stava nella globalità di un particolare che
ogni volta che vien rilevato reca con sè anche tutta
la pressione del "resto" del mondo organico che
dell’oggetto identificato è la foza motrice, non senza
una certa agitazione emblematica: " nel senso più
semplice e organico...(la realtà naturale contrapposta
alla realtà sociologica dell’uomo contemporaneo)",
come ancora scrive Crispolti.
Ma ben presto la dialettica si arricchisce: non più
tesa tra natura e condizione sociale dell’uomo, ma tra
uomo e presenza dell’artificiale. Relitti artificiali,
frammenti di macchina compaiono coì,verso il ‘64-65,
immersi nel tessuto organico per fenderlo e spaccarlo
e strozzarne il corso, aggrediti e incapsulati dalle
evenienze fisiologiche al punto da rientrare, vinti,
in quel paesaggio, vittorioso, seppure anchilosato, di
fibre e strappi. Malgrado una certa concitazione
simbolica, in Rambelli resta vero quell’estremo senso
di controllo che ha l’immaginazione conoscitiva della
sua poesia, quella "plastica controllata" di cui più
tardi discorrerà Caramel, "non però controllata per un
intervento determinante dell’autore, ma per
l’affiorare di una misura naturale, consustanziale
alla materia, dalla quale lo scultore riusciva ad
emergerla".
Ancora il tempo del racconto, che è quello del
rilevamento di "una terrena verità d’origine", come lo
stesso Rambelli definisce la sua scultura, ma
complicato da una ricerca che si rivelerà più avanti:
per ora è il simbolismo "contestativo" ad avere la
meglio, la esibizione antitecnologica, con punte di
non taciuto romanticismo, (il "paesaggio con rovine",
o "di rovine", ad esempio).
Ma proprio il modo sottile con cui il gioco dialettico
è posto, il contrasto di due entità-forze, offre a
Rambelli la soluzione. La macchina, cioè, è sì
"l’altro", ma lo è nella misura in cui a forza si
oppone forza, ad avvenimento avvenimento, e come nella
sua dimensione di alterazione e contraddizione è anche
chiarificazione dei processi organici nella misura in
cui li obbliga a rivelarsi di fronte a un’opposizione
e a cesure e non solo di fronte alla propria
continuità. Rambelli comprende che storia non è
destino, nè lo è la cronaca, ma è discontinuità,
coabitazione di opposti, e che tale coabitazione non è
lacerazione ma rilievo di diversa sostanzialità
individualizzata in modi difformi. Quindi ora la sua
ricerca è davvero dialettica,
continuità-discontinuità, e non separazione: la
contestazione verrà dopo la constatazione dei fatti.
La forma organica è ottusa cristallizzazione se non
può denunciarsi quale presenza di tutte le alterazioni
che la concretano all’incontro con le sollecitazioni
più svariate: un incontro che è anche rivelazione e
conoscenza. Nascono così i lavori ultimi, di materiale
inedito per Rambelli, vetri trasparenti, griglie, fili
connettivi: quasi a segnare, da un lato lo spazio più
vasto del puro evento (le scultutre inglobano il resto
della faccia esposta, la dimensione dell’ambiente),
dall’altro ilsenso di una continuità dei piani che
espongono o ritraggono aggettano arretrano l’evidenza
delle fasi dell’esperienza.
E i bellissimi disegni di questi mesi esplorano
un’ulteriore omologia tra macchina ed evento, la loro
identità nell’occupare lo spazio e la loro coincidenza
nel determinarsi nello spazio, e perciò nel tempo.
Sono quasi emblemi, questi disegni, di tutto il lavoro
di Rambelli: attentisimo alla tensione della presenza
umana ma conscio del dovere di rilevare i dati prima
di precipitarsi a conclusioni, pragmatico nella sua
verità, ma assuefatto a vivere in una esperienza
poetica sempre insopprimibile, anche se
persuasivamente priva di dramma e di ogni elegia:
concreta perchè reale.